IL TRIBUNALE 
 
    Visti gli atti dei presenti procedimenti, riuniti, a carico di: 
    Calosso Damiano, nato a Torino il 23 giugno  1961,  elettivamente
domiciliato a Torino in corso re Umberto, 44 presso lo Studio del suo
difensore - difeso di fiducia dall'Avv. Giacomo Francini del Foro  di
Torino 
    Chiesa  Luigi,  nato  a  Montiglio  (AT) il   22   giugno   1941,
elettivamente domiciliato in corso Matteotti, 31 presso lo Studio dei
suoi difensori - difeso di fiducia dagli Avv.ti  Fulvio  Gianaria  ed
Andrea De Carlo, entrambi del Foro di Torino 
    Calosso Aldo, nato a  San  Damiano  d'Asti  il  12  maggio  1932,
domiciliato a Torino in corso Einaudi,  8  presso  la  GER  s.r.l.  -
difeso di fiducia dall'Avv. Giacomo Francini del Foro di Torino 
    tutti imputati «del delitto previsto e punito  dagli  artt.  113,
449, comma I, c.p., poiche', in cooperazione tra di loro,  per  colpa
consistita in negligenza, in  imprudenza  ed  in  imperizia,  nonche'
nell'inosservanza delle norme per la prevenzione degli infortuni  sul
lavoro, hanno cagionato un incendio che ha interessato  il  magazzino
della societa' denominata  Alpha  Point  s.p.a.»  (come  da  capo  di
imputazione  in  atti,  ulteriormente  specificativo  delle  condotte
colpose) 
    Reato commesso in Torino nella data del 25 aprile 2006 
    Vista la richiesta, depositata dal difensore di  Calosso  Aldo  e
Calosso   Damiano,   di   sollevare   questione    di    legittimita'
costituzionale dell'art. 157 comma 6 c.p. in relazione  all'art.  449
c.p. per violazione dell'art.  3  Costituzione  nella  parte  in  cui
prevede, per il reato di incendio colposo, un termine  prescrizionale
di 12 anni e pertanto piu' lungo rispetto al  termine  prescrizionale
previsto per la corrispondente fattispecie dolosa (art. 423 c,p., con
termine prescrizionale di anni 7), in quanto la norma di cui all'art.
157  comma  6  c.p.  prevede  un  ingiustificato   ed   irragionevole
trattamento di favore nei  confronti  di  coloro  che  provochino  un
evento disastroso con dolo rispetto a coloro che  cagionino  identico
evento con mera colpa; 
    Sentite le parti; 
 
                               Osserva 
 
    La questione  proposta  dalla  difesa  risulta  rilevante  e  non
manifestamente infondata, sicche' si rende necessaria la  sospensione
del  procedimento,  onde   investire   della   questione   la   Corte
costituzionale. 
1. Il procedimento. 
    Il  procedimento  pende  avanti   questo   Giudice   in   udienza
preliminare in seguito a richiesta di rinvio  a  giudizio  depositata
dal Pubblico Ministero in data 31.10.12 per Calosso Damiano e  Chiesa
Luigi e in data 9.1.13 per Calosso Aldo (in questo secondo  caso,  la
richiesta di rinvio a giudizio origina da ordinanza del GIP  11.12.12
reiettiva di richiesta di archiviazione) per il reato di cui all'art.
449 c.p. in relazione all'art. 423 c.p. (incendio  colposo)  commesso
il 25 aprile 2006. 
    Nel corso del procedimento  gli  unici  atti  interruttivi  della
prescrizione sono stati le due richieste di rinvio a giudizio  ed  il
provvedimento  del  GIP  di  fissazione  dell'udienza  in  camera  di
consiglio per la decisione sulla richiesta di  archiviazione  (datato
15.10.2012). 
    Tali atti sono tutti successivi alla data del 25 aprile 2012. 
    Il reato in contestazione e' punito con la pena della  reclusione
da uno a cinque anni; il termine di prescrizione ordinario,  pari  ad
anni sei a norma dell'art. 157  comma  primo  c.p.  (con  conseguente
maturazione appunto al 25.4.2012), deve peraltro  essere  raddoppiato
ai sensi del comma 6 dell'art. 157 c.p. come modificato  dall'art.  6
legge 5 dicembre 2005 n. 251 (con conseguente maturazione del termine
di prescrizione al 25 aprile 2018). 
2.  Non  manifesta  infondatezza  della  questione  di   legittimita'
costituzionale 
    La legge n. 251 del 2005 ha integralmente sostituito  l'art.  157
del codice penale,  modificando  il  regime  della  prescrizione  dei
reati. 
    Secondo la regola generale dettata dal comma primo dell'art.  157
c.p., come novellato, il reato di incendio doloso previsto  dall'art.
423 c.p., siccome punito con la pena della reclusione da tre a  sette
anni, si prescrive nel termine di anni sette. 
    Sempre secondo tale regola, i reati previsti dall'art. 449  comma
primo c.p. (che punisce con la pena della reclusione da uno a  cinque
anni chiunque «cagiona per colpa un  incendio  o  un  altro  disastro
preveduto dal capo primo di questo titolo») si  prescriverebbero  nel
termine di anni sei. 
    Tale termine  deve  peraltro  essere  raddoppiato  (quindi,  anni
dodici) a norma dell'art. 157  comma  6  c.p.,  che  prevede  che  «I
termini di cui ai commi che precedono sono raddoppiati per i reati di
cui agli articoli 449, 589 secondo terzo e quarto comma, nonche'  per
i reati di cui all'art. 51 commi  3-bis  e  3-quater  del  codice  di
procedura  penale»;  in  seguito  a  ulteriore  e  recente   modifica
normativa (L. l°  ottobre  2012,  n.  172),  identico  raddoppio  dei
termini e' previsto ora per i reati di cui  «all'art.  572  e  per  i
reati di cui alla sezione I del capo III del titolo XII del libro  II
e  di  cui  agli  articoli  609-bis,  609-quater,   609-quinquies   e
609-octies,  salvo  che  risulti  la  sussistenza  delle  circostanze
attenuanti contemplate dal terzo comma dell'art. 609-bis  ovvero  dal
quarto comma dell'art. 609-quater dall'art. 4, comma c. 1, lett. a)». 
    Il comma 6 dell'art. 157 c.p.  cosi'  come  formulato  (anteriore
alla ulteriore modifica del 2012, che non rileva ai fini dell'analisi
della  questione  prospettata)  e'  stato  introdotto  grazie  ad  un
emendamento nel corso dell'iter parlamentare  di  approvazione  della
legge 251/2005, dapprima limitatamente ai reati di  cui  all'art.  51
commi 3-bis e 3-quater c.p.p. (sul rilievo del fatto che trattasi  di
reati che «di norma richiedono indagini  piu'  complesse»  oltre  che
della loro gravita', cfr.  dibattito  in  Senato)  e  successivamente
(cfr.  dibattito  alla  Camera,  seduta  del  9.11.2005)  anche   con
riferimento ai reati di cui agli articoli 449 e 589  c.2  e  4  c.p.,
senza peraltro che dai lavori parlamentari si evinca  un  particolare
approfondimento  delle  motivazioni  che  hanno  determinato   questa
scelta,  sostanzialmente  collegata  alla  volonta'  di  maggiormente
tutelare le vittime dei reati, prevedendo tempi di prescrizione  piu'
lunghi per reati potenzialmente produttivi di danni significativi nei
confronti di una pluralita' di persone offese. 
    Con specifico riferimento al reato di cui all'art. 449 c.p.,  che
solo interessa in questa sede, la norma sopra riportata indubbiamente
fa si' che il termine  di  prescrizione  per  il  reato  di  incendio
colposo  sia  di  gran  lunga  superiore  (12  anni)  al  termine  di
prescrizione previsto per il reato di incendio doloso (7 anni). 
    Per inciso (che non e' questo  il  termine  di  paragone  che  si
invoca  in  questa  sede),  tale  discrepanza  non  si   rileva   con
riferimento alle altre fattispecie di disastro contemplate  dall'art.
449 c.p. mediante rinvio  alle  norme  del  capo  I,  atteso  che  le
corrispondenti ipotesi dolose hanno pene edittali  piu'  elevate  del
reato di incendio, ed  hanno  quindi  termini  di  prescrizione  piu'
lunghi (reati di cui agli articoli 426, 428, 430 c.p., tutti con pena
edittale massima di anni dodici di reclusione). 
    La  previsione  di  un  termine  prescrizionale  piu'  lungo  per
l'ipotesi  colposa  del  reato  di  incendio  rispetto   al   termine
prescrizionale in essere per  la  corrispondente  ipotesi  dolosa  ad
avviso di questo Giudice  viola  l'art.  3  della  Costituzione,  per
violazione del principio di ragionevolezza. 
    E' pacifico che l'individuazione del termine di prescrizione  del
reato, demandata alla discrezionalita' del legislatore, concorre alla
composizione degli effetti sostanziali del reato stesso, tanto che di
essa  deve  tenersi  conto  ogni  qual  volta  deve  individuarsi  il
trattamento piu' favorevole al reo (cosi' la costante  giurisprudenza
della Corte di  Cassazione,  cfr.  tra  le  molte  Sezioni  Unite  n.
27/2000). 
    E' altrettanto pacifico che la discrezionalita'  del  legislatore
deve avere come riferimento  quella  che  e'  la  ratio  dell'effetto
estintivo della prescrizione, ossia (oltre  alla  salvaguardia  della
funzione specialpreventiva e rieducativa della pena, assicurando  che
la comminazione della sanzione avvenga entro un ragionevole lasso  di
tempo  dalla  commissione  del  reato),  primariamente   «l'interesse
generale di non piu' perseguire i reati rispetto ai  quali  il  lungo
tempo decorso dopo la loro commissione  abbia  fatto  venir  meno,  o
notevolmente attenuato, (...) l'allarme della coscienza comune» (vedi
sentenze Corte costituzionale n. 202 del 1971 e  n.  254  del  1985).
Conformemente a tale ratio, il rispetto dell'art. 3  Cost.  sotto  il
profilo della  ragionevolezza  impone  al  legislatore  di  prevedere
trattamenti  sanzionatori  complessivi,  comprensivi  pertanto  anche
della  determinazione   dei   termini   prescrizionali,   che   siano
necessariamente proporzionati  in  primo  luogo  alla  complessiva  e
concreta  gravita'  del   fatto   (sulla   «concreta   gravita'   del
fatto-reato» come parametro di riferimento per il  legislatore  nella
determinazione dei termini di prescrizione per i vari reati, si  veda
anche l'ordinanza Corte costituzionale 337 del  14-20  luglio  1999).
Ora, se il rispetto della discrezionalita' legislativa impedisce  con
tutta evidenza di  sindacare  la  previsione  di  differenti  termini
prescrizionali riferiti a reati che siano  tra  loro  differenti  per
bene giuridico protetto, condotta, entita' dell'evento, cio' non vale
invece nel caso in cui, come in quello di specie, il fatto reato  sia
il medesimo nelle sue componenti oggettive (cagionare un incendio) ma
si  differenzi  unicamente  nella  componente   soggettiva,   laddove
pacificamente e senza dubbio l'elemento soggettivo del  dolo  connota
di maggiore gravita'  la  fattispecie  rispetto  alla  corrispondente
ipotesi colposa, come  concretamente  ritenuto  dal  legislatore  che
infatti ha previsto per il reato di incendio doloso una pena edittale
superiore di quella prevista per il reato di incendio colposo. 
    Nella  comparazione  tra  i  reati  di  cui  all'art.  423   c.p.
(«chiunque cagiona un incendio») e  449  c.p.  («chiunque  per  colpa
cagiona un incendio»), reati  di  identica  condotta  ed  evento  (e,
volendo   fare   riferimento   alle   ragioni    che    determinarono
l'allungamento dei termini  di  prescrizione  per  il  reato  di  cui
all'art. 449 c.p.,  sopra  richiamate,  suscettibili  di  determinare
eventi  dannosi  di  pari  gravita')  ma  diversi  esclusivamente  in
relazione  all'elemento  soggettivo,  la  previsione  di  un  termine
prescrizionale piu' lungo per  l'ipotesi  colposa  e  di  un  termine
prescrizionale piu' breve  per  l'ipotesi  dolosa  si  risolve  nella
previsione di trattamenti sanzionatori  la  cui  differenziazione  e'
priva di ragionevolezza, in quanto al reato  sicuramente  meno  grave
corrisponde  un  «trattamento  sanzionatorio»  in  senso  lato   meno
favorevole  ed  al  reato  piu'  grave  corrisponde  un   trattamento
sanzionatorio  piu'  favorevole;  previsione  quindi  che  viola   il
principio di uguaglianza di cui all'art. 3 Costituzione. 
3. Il quesito. 
    Alla luce dei motivi sopra esposti, si ritiene non manifestamente
infondata la questione di legittimita' costituzionale  dell'art.  157
comma 6 c.p., del quale  si  chiede  di  dichiarare  l'illegittimita'
nella parte  in  cui  prevede  che  il  termine  di  prescrizione  e'
raddoppiato per il reato  di  cui  all'art.  449  c.p.  in  relazione
all'art. 423 c.p. (incendio colposo) per contrasto con  il  principio
di uguaglianza di cui all'art. 3  della  Costituzione  in  quanto  la
norma  suddetta  viene  a  prevedere  un  trattamento   sanzionatorio
complessivamente piu' sfavorevole (in relazione  al  maggior  termine
prescrizionale) per il reato di incendio colposo (meno grave) e  piu'
favorevole  per  il  reato  di  incendio  doloso  (piu'  grave),  con
irragionevole disparita' di trattamento. 
4. Sulla rilevanza. 
    La questione e' rilevante nel giudizio a  quo:  se  la  questione
venisse accolta dalla Corte costituzionale, questo  giudice  dovrebbe
dichiarare l'estinzione del reato in  contestazione  per  intervenuta
prescrizione  (essendo  decorso  dalla  data  del  fatto  il  termine
indicato dall'art. 157 comma primo c.p,  di  anni  sei,  non  essendo
intervenuti  atti  interruttivi  della   prescrizione,   ed   essendo
implicita nella richiesta della difesa la  conseguente  richiesta  di
pronuncia di sentenza ex art. 425 c.p.p. per estinzione  del  reato);
diversamente dovrebbe procedere oltre nella discussione  dell'udienza
preliminare e nella decisione in ordine alla richiesta  di  rinvio  a
giudizio formulata dal Pubblico Ministero. 
    E' quindi evidente che giudizio in corso non puo' essere definito
indipendentemente dalla risoluzione della questione  di  legittimita'
costituzionale come prospettata.